A due passi dal Paradiso
di Carmine Curcio
(dal catalogo: "Battiti dell'Arte nel Cuore della Città" a cura di MARIA VINELLA, dedicato alla mostra sulla megalopoli presso il Foyer del Teatro Petruzzelli di Bari dal 17 settembre al 30 ottobre 2011)
Davanti alle opere del ciclo "Megalopoli" di Alba Amoruso non si puo che rimanere
stupiti dalla straordinaria magnificenza compositiva, in netto contrasto con le brutture
di quella realtà urbana degradata che l'artista si propone di portare all'attenzione
dell'0sservatore.
"Megalopoli" ci racconta infatti di città disumanizzate, in cui lo spazio dell'uomo è stato
interamente usurpato da enormi palazzi che oscurano il cielo, fabbriche, ciminiere,
sopraelevate, code interminabili di automobili, fiumi di acque reflue e quant'altro,
utilizzando un linguaggio cromatico caldo e accattivante; come se l'artista volesse
allertare l'osservatore ma nello stesso tempo rassicurarlo.
Alla 52° Biennale di Venezia, nella presentazione del catalogo "Caos Project", Paolo
De Grandis scrisse: «... alla base della ricerca di Alba Amoruso vi sono i conflitti e le
diversità delle megalopoli; il suo è un atteggiamento romantico, un tentativo di
coinvolgimento emozionale e spirituale che si avvale di un all over intensamente caldo
e cromatico».
Non dunque previsioni apocalittiche, come hanno sostenuto alcuni, ma propositi
costruttivi. Alba d'altronde era poco incline al pessimismo. Era una donna che viveva
con gioia e amava la gioia di vivere, era positiva, ottimista, aperta, solare e aveva fiducia
nel futuro deI|'umanità come nel proprio, almeno fino a quando il male da cui fu colpita
non imboccò un percorso irreversibile. Il suo non è l'annuncio di una catastrofe, ma
piuttosto un avvertimento, una riflessione da condividere con i propri simili, un invito
a cercare soluzioni che rimettano l'uomo al posto che gli spetta: il centro della scena.
Per dirla con le sue parole: «una pittura assunta ad esortazione, una specie di molla che
allerta e che spinge la nostra coscienza ad aprire il libro della quotidianità e ad osservarci
con un certo distacco e scoprire che in fondo si parla di noi, della vita di cui siamo
irreversibilmente protagonisti».
Alba Amoruso riteneva che le sue tematiche, "alquanto drammatiche", si potessero
riassumere in una sorta di «Realismo esistenziale inteso in senso letterario e non
nell'accezione tecnico-pittorica che caratterizza il realismo pittorico, bensi nel suoi
contenuti sociali e narrativi».
Per quanto riguarda il suo linguaggio pittorico, affermava di "configurarsi nella corrente
espresslonista" e ne spiegava così le ragioni: «perchè esiste una ricezione del mondo filtrata
attraverso il cuore e la mente; perché è un percorso (il mio) caratterizzato da una certa
drammaticità espressiva; perché gli elementi costitutivi del dipinto sono attinti dalla mia
interiorità».
Considerava il colore "una forza emotiva" e lo usava in modo "non-naturalistico, ma alquanto arbitrario" perchè questo le permetteva di
esprimersi «in piena libertà pittorica ed emotiva».
Rispetto al Futurismo si considerava agli antipodi e con "Megalopoli" ne
testimoniava il fallimento: «sono qui ad un secolo di distanza a raccogliere
tutto il malessere e i guasti della civiltà delle macchine, delle auto, del
dinamismo, della velocità e della città industriale e del cemento di cui i
futuristi subivano il fascino e ne esaltavano trionfalisticamente l’avvento».
Il ciclo "Megalopoli" fu concepito nel 2002, in preparazione a una serie di
mostre d'arte che si sarebbero dovute tenere a Miami, per una nota casa
d'arte italiana. Il progetto non andò in porto, ma "Megalopoli" rimase e si
sviluppò lungo altri percorsi, dando luogo a un ciclo pittorico estremamente
prolifico e caratterizzato da una grande ricchezza e varietà espressiva.
Quelle tele non varcarono mai l'Atlantico, ma osservandole con attenzione
si ha quasi l'impressione che l'artista, la quale tra l'altro amava moltissimo
New York, avesse in mente proprio l'America mentre le dipingeva. Se ne
accorse il critico d'arte Paolo Rizzi al quale toccò di presentare i dipinti
della "Megalopoli" a Venezia, "Scoletta San Zaccaria" nel 2004: «Quella di
Alba Amoruso - disse il critico - è una pittura di forza, una pittura gestuale,
una pittura potremmo dire anche americana nel fondo, una pittura che ci
piace perchè ha sempre comunque un'intensità, si muove davanti ai nostri
occhi, entra quasi in un contesto che è il nostro, e la nostra sensibilità si
incontra con quella espressa da queste opere. Alba Amoruso ci porta un
messaggio semplice ma anche profondo nel quale noi vorremmo immergerci
e capire il suo animo, e attraverso il suo animo, anche il nostro ...»
Le prime sette grandi tele di quel ciclo (sei di 90x210 cm e una di 170x250
cm), formarono il corpo di una mostra itinerante che venne presentata sul
territorio nazionale nell'ambito del programma culturale della Banca Popolare
di Milano, presso le sue sedi centrali di Parma, Roma, Firenze e Bologna
dal mese di giugno del 2003 al mese di aprile del 2004. Proseguendo oltre,
la stessa mostra fu poi esposta anche a Venezia e a Milano.
Intanto "Megalopoli" si arricchiva di numerose altre tele di dimensioni e
tavolozze diverse. Gruppi di queste andarono a costituire mostre presentate
in varie sedi nazionali e internazionali: Bari, Arezzo, Genova, Novara, Asti,
Prato, Ferrara, Reggio Emilia, Padova, Piombino, Teggiano, Santhià, Taranto,
Vienna, Innsbruck. Madrid, Toledo e Istambul.
Nel 2007 Alba Amoruso partecipò alla Biennale di Venezia con quattro
grandi tele, due del ciclo "Megalopoli" e due del ciclo "Patopoli" nell’ambito
di un evento collaterale denominato "Caos Project", al quale prese parte
insieme a tre altri artisti italiani.
Nella sua lunga serie di esposizioni al pubblico, "Megalopoli" è stata
gratiticata da grande attenzione e interesse da parte dei media e della
critica. Su questo ciclo pittorico hanno scntto tra gli altri: Annamaria Amoruso,
David Bellancini, Giulio Bonifacio, Maurizio Bernardelli Curuz, Boris Brollo,
Orfango Campigli, Clara Carpanini, Martina Cavallarin, Vinicio Coppola,
Paolo De Grandis, Beba Marzano, Gabriella Niero, Alfredo Pasolino, Giorgio
Pilla, Paolo Rizzi, Eugenia Serafini, Maria Vinella e molti altri.
Mentre tutto questo accadeva, "Megalopoli" diventava lentamente "Patopoli" (città malata, moribonda), quasi metafora
di un destino condiviso con l'artista. Dubito fortemente che Alba sarebbe mai arrivata a concepire "Patopoli" se la
sua malattia avesse preso un corso più favorevole, perchè in quel caso il suo naturale ottimismo l’avrebbe sicuramente
condotta verso soluzioni positive. Purtroppo non andò cosi.
Tra le sue tante cose, ho trovato un appunto, una sua riflessione che è quasi una sintesi conclusiva di"Megalopoli",
di "Patopoli", della sua esperienza artistica e di quella esistenziale. La riporto qui perchè nessuno sa raccontare Alba
meglio di quanto abbia saputo fare lei stessa: «...una montagna di catrame ti cade addosso e forse diventi fossile
per le future archeologie. Se qualcuno provasse a scavare dentro di me ci troverebbe un altro fossile: quello della
speranza e quello della mia anima elicoidale che sale...che sale...proprio come le mie città. Perchè la mia città sale?
Perchè è la scala verso il cielo. Nell'arte mia è tutto ciò che ho inventato...ma nella mia essenza di umana creatura
è planare al di là del limite, è raccogliere il grido disperato, è essere a due passi dal Paradiso per sempre»
Sì. In "Megalopoli" c'è anche questo, una forte tensione spirituale, che è forse la molla più importante.