LA POETICA DEL CEMENTO, la disumanizzazione del paesaggio antropico
dal quotidiano "Il Tempo"- testo di Anna Maria Amoruso- 9 nov. 2003
Dalla ricerca severa, critica
e polisemica dell’artista pugliese Alba Amoruso, scaturiscono
le Megalopoli, deformazioni espressionistiche della soffocante
realtà urbana in cui sono descritte le angosce della moderna
civiltà, le ansie metropolitane condizionate dalla filosofia
della fretta e del caos, l’aggressività del ritmo
della vita moderna.
Il paesaggio antropico viene disumanizzato e stravolto da fiumi
di auto addossate e uniformi, da giganti sopraelevate che irrompono
e squarciano il cuore dell’abitato urbano, da nastri d’asfalto
allacciati a lampioni ripiegati su se stessi, simbolici spettatori
attoniti ed angosciati del disordine metropolitano.
Nelle strutture di cemento, che occupano gli spazi vitali e rendono
più irrespirabile l’aria combusta e inquinata, prevalgono
forme quadrate e razionali, equilibrate talvolta da giochi di
simmetrie speculari che rendono l’immagine quasi virtuale.
L’atmosfera caotica e oppressiva che si respira divora l’azzurro
e lo spazio, rendendo finito e limitato il potenziale dello sguardo
umano.
La spinta verticale degli edifici delude infatti il colpo d’occhio:
non c’è più posto per la fantasia e per l’utopia
in questi spazi compressi ove la presenza umana è soltanto
accennata, mai centrale, né necessaria, in quanto l’uomo
è l’artefice delle trasformazioni e dell’adattamento
all’ambiente descritto, tramite le sue creazioni.
Si tratta dunque di un’abdicazione dell’uomo nei confronti
di ciò che è prodotto dalla sua azione, la megalopoli
è una specie di mostro che campeggia ai danni del suo creatore.
È allora che forme squadrate e volumi verticali irrompono
sulla tela con la pretesa di un protagonismo che umilia il sogno
e le ipoteche sull’avvenire…le risorse ambientali
naturali perdono la propria voce e il proprio colore…
Non ci sono che bigi scoli di acque reflue a testimoniare i risultati
degli interventi umani, contaminanti dei corsi d’acqua naturali,
dei mari e delle darsene, non ci sono che gli aspetti inquietanti
di una città che ha perso il senso della comunanza e il
valore dell’identità umana per trasformarsi in una
struttura composita, brulicante di oggetti parlanti che esprimono
i messaggi del terzo millennio, l’estinzione di un concetto
di tempo e di spazio non più ordinati e regolati dall’introspezione
perché travolti dalla fretta.
I tradizionali elementi terrestri di spicco, la terra, l’acqua,
il cielo, risultano completamente stravolti, la ratio genera caos,
l’uomo ha modificato irrimediabilmente questi aspetti della
natura e l’artista si adegua al messaggio con scelte monocrome
su tavolozze sfumate nei toni caldi del giallo, o dell’arancio
e del rosso.
Il messaggio è sottolineato dalle scelte concettuali di
tipo tecnico-formale. Spugne, stracci e spatole lasciano pertanto
sulla tela i segni di un colore scarnificato o raddensato, a cui
si sovrappongono filamenti e gocciolamenti, graffi, cancellature,
sottrazioni di colore, a sottolineare il prevalente senso di materialità
che campeggia nel cuore della città contemporanea.
Si tratta di un messaggio complesso che pone al centro l’urbanizzazione
selvaggia, opera umana che determina asfissia e mancanza di libertà,
denunciando l’irrisorietà, la vanità, l’inconsistenza
del vivere associato, in un malessere che è quello generale
di tutte le metropoli vissute e invivibili.
Ossimorici i significati di fondo, una modalità per rappresentare,
enunciare e creare distacco da un mondo che imprigiona l’uomo
e il suo pensiero, mettendone a nudo malessere e alienazione.
Annamaria Amoruso